Il Visivo, V, l’Auditivo, A, ed il Cinestesico, K. Quest'ultimo fa riferimento alla preferenza per il tatto, il gusto e l'olfatto.
I Visivi amano sopra ogni cosa vedere, guardare, definire, luce, colori, prospettiva, osservare, sguardo, delineare, tracciare, dipingere, disegnare. Chi utilizza la vista come canale privilegiato, quindi, si aspetta di sentir parlare con questo linguaggio, perché è quello che conosce meglio ed è quello che rappresenta nel modo migliore le forme dei suoi pensieri.
Gli Auditivi sono coloro che descrivono le proprie esperienze soprattutto con termini come sentire, ascoltare, armonia, musica, parole, scrittura, lingua, traduzione, conversazione, audio, sintonizzarsi, cantare, leggere.
I cinestesici, sono molto numerosi nella popolazione umana, i segnali per individuarli non sono poi cosi difficili. Il loro mondo è fatto di parole come sensazione, emozione, toccare, concreto, pratico, sentimento, percepire, solido, sperimentare, sentire, costruire, tastare, abbracciare, approfondire.
Per scoprire i gruppi "sensoriali" non ci vuole solo buon orecchio, per cogliere i segnali interessanti che spesso non sono dove ce li aspettavamo. Se entriamo in un dialogo, abbiamo scarse probabilità di farci capire (e di essere ascoltati) se prima non abbiamo saputo ascoltare “con attenzione e partecipazione” – e anche riflettere.
Dice Karl Menninger: «Ascoltare è una cosa magnetica e speciale, una forza creativa. Gli amici che ci ascoltano sono quelli cui ci avviciniamo. Essere ascoltati ci crea, ci fa aprire ed espandere».
Usare un linguaggio positivo ci aiuta a far partire il discorso sempre con "il piede giusto". Chi ci sente parlare con termini come "sviluppo", "soluzione", "fiducia", è certo ben contento di starci a sentire e sarà più disponibile ad ascoltare le nostre idee. Per chiarire meglio questo punto, è importante aggiungere altre due considerazioni:
Far uso di una terminologia positiva o negativa dipende dal nostro modo di guardare e valutare le cose. Questo per dire che, se vediamo la vita come un campo minato sempre pronto a procurarci qualche ferita, sarà poi impossibile usare un linguaggio positivo.
La comunicazione, secondo me, si poggia sempre su basi di etica. Se usiamo parole ricche di messaggi positivi per convincere il prossimo della nostra buona fede e poi commettiamo crimini di ogni genere, allora prendiamo in giro noi stessi (insieme agli altri).
Non è possibile "vedere" quello che è contenuto nel cervello, perchè i pensieri sono impulsi elettrici che hanno un'origine chimica. Le idee sono scariche di energia che nascono e si dissolvono nel buio dei misteri cerebrali e non è possibile catturarli in una rete, per poi analizzarli con tutta calma.
Questo presupposto guida Watzlawick in direzione di un approccio alla comunicazione umana che egli stesso definisce "pragmatico", ovvero pratico, comportamentale e relazionale. Ogni comunicazione ha un aspetto informativo, di contenuto, e un aspetto di "comando", di relazione.
Ed è questo secondo aspetto che imprime una forma al contenuto, che ne definisce il significato come metacomunicazione. Watzlawick aggiunge che "sembra che quanto più una relazione è spontanea e 'sana', tanto più l'aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Viceversa, le relazioni 'malate' sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l'aspetto di contenuto della comunicazione diventa sempre meno importante." E' probabile che chi legge abbia fatto un'esperienza di questo genere, ovvero di scambi di opinioni, di discussioni o di litigi che avevano come oggetto argomenti di nessuna importanza. In casi simili, quello che è in gioco non è la scelta di un mobile rosso o di una lampada blu, ma la definizione di "chi gioca quale ruolo" all'interno della relazione interpersonale.
Le ricerche e le osservazioni di Watzlawick hanno condotto alla distinzione di due possibili modi di mettersi in relazione con l'altro. Il primo, che l'autore chiama relazione simmetrica, è caratterizzato da un piano di partenza paritario, dove le persone coinvolte si misurano con l'assunto di essere uguali. La simmetria, se corre troppo oltre i suoi presupposti, può degenerare in patologia, ovvero in una dinamica di competizione per dimostrare che "io sono migliore di te".
Il secondo tipo di relazione è segnata dalla complementarietà. In questo modello, chi partecipa alla relazione si comporta in modo tale da situarsi in una posizione di superiorità oppure di inferiorità nei confronti dell'altro. Per comprendere appieno cosa significa la complementarietà, è importante aver chiaro che è possibile imporre all'altro la propria "superiorità" solo se questi è disposto ad accettarla, e viceversa. Il legame complementare, quando diventa patologico, allarga la forbice della differenza fino agli estremi e, chi domina, lo fa in forma sempre più assoluta.
La relazione è un sistema dove i comportamenti sono circolari: non è possibile stabilire quale è la causa e quale l’effetto, cosa viene prima e cosa viene dopo. Ogni comportamento è, insieme, azione e risposta ad un'altro comportamento. La circolarità mette fuori campo il dualismocausa-effetto che, come uno stampo, ha dato forma per secoli a tutti i discorsi della scienza. Il sistema delle persone-che-comunicano-con-altre-persone è sempre un universo a sé stante, governato da regole e processi propri. Quando le regole che tengono in vita il sistema fanno "corto circuito", la comunicazione si ammala e può essere guarita solo da chi, con un intervento esterno, può modificare le regole del gioco.
Quello che ci interessa davvero, è comprendere e saper utilizzare le domande che arrivano al cuore di una questione. Un passo dopo l'altro, ci conducono proprio là dove volevamo arrivare. Questo genere di domande, prima di ogni altro requisito, mettono in cima a tutto la chiarezza dell'intenzione. Che cosa vogliamo fare con questa richiesta? Dove vogliamo arrivare? Che ci aspettiamo dall'altro?
Insieme a questo passaggio essenziale, disegniamo e ricordiamo i tratti distintivi del destinatario della domanda. Che genere di persona è? Che cosa si aspetta da me? Questo genere di informazioni di base, a proposito dell'obiettivo e del destinatario del messaggio, sono scolpite nella pietra e bisogna tenerle davanti agli occhi in qualsiasi contesto di comunicazione. Ecco, mancava all'appello proprio lui: il contesto. Ogni relazione comunicativa ha il suo habitat, il suo specifico contesto, dove io gioco un ruolo, tu ne giochi un altro e siamo dentro un mondo di conoscenze e significati condivisi.

Lo psicologo Abraham Maslow definì una “gerarchia dei bisogni” o necessità.
Inizialmente individua 5 livelli attraverso i quali, l'uomo si realizza passando e soddisfacendo progressivamente per i vari stadi:
- Bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.)
- Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione
- Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione )
- Bisogni di stima, di prestigio, di successo
- Bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale).
Fino a quando non sarà appagato il livello più basso non si sentirà la necessità di salire di livello.















